Venezia 76. Fulci For Fake
Il regista lombardo Simone Scafidi è sicuramente una delle figure più significative del panorama cinematografico italiano indipendente di oggi, uno dei pochi a poter essere definito Autore nel senso pieno della parola: non solo perché ha una propria estetica e una serie di temi ricorrenti, ma perché travalica i generi per creare qualcosa di nuovo. Parliamo inoltre di un regista in grado di muoversi senza soluzione di continuità fra il film a soggetto (Gli arcangeli, Eva Braun, La festa), il documentario tout-court (Zanetti Story) e una forma particolare di cinema che sta a metà strada fra la fiction e il documentario: una formula già sperimentata in Appunti per la distruzione e che torna – seppure in modalità differenti – nel suo nuovo film Fulci for fake (2019), un docu-film in concorso a Venezia 76 nella sezione Documentari Classici (e un indipendente che approda a Venezia è un segnale di speranza per il cinema italiano).
Lucio Fulci (1927-1996) è uno dei registi italiani più apprezzati nel mondo, spesso considerato il rivale di Dario Argento nei generi thriller e horror ma molto attivo nei generi più disparati (commedia, musicarelli, western, film d’avventura), un autore che in realtà sfugge a ogni tentativo di catalogazione. Una figura quasi mitologica, che come i suoi film è impossibile da imbrigliare e razionalizzare: e proprio questo particolare status, a metà fra la realtà e la leggenda, è oggetto di analisi nel documentario di Scafidi, che non vuole né riproporre i cliché né delineare un profilo critico, né tantomeno dar vita a un biopic rigoroso. Sarebbe impossibile, e il regista ne è consapevole: proprio per questo, probabilmente, decide di raccontare alcuni aspetti della sua vita e della sua carriera fondendo documenti e fiction, mescolando la realtà delle testimonianze con una storia di invenzione che dà il la al film.
La storia, scritta dallo stesso Scafidi, è incentrata infatti su un attore, Nicola (Nicola Nocella), che accetta di interpretare Lucio Fulci in un immaginario film biografico a lui dedicato e diretto da un regista straniero noto come Saigon. L’attore intraprende così un viaggio alla scoperta di Fulci come uomo innanzitutto e come artista, in modo da poterlo interpretare nel migliore dei modi. Incontra le due figlie, amici, collaboratori e studiosi del suo cinema, e può visionare materiali nuovi e finora invisibili. Nicola, diviso tra la preparazione del film e lo studio del personaggio, comprende che Fulci nella sua vita ha creato il mito di se stesso: una biografia in cui mito e leggenda hanno riscritto una vita esaltante e drammatica.
Così come in Fulci realtà e fantasia si confondono, così in Fulci for fake (un titolo programmatico) documentario e fiction si fondono in maniera armoniosa, sia nella forma sia nel contenuto: la peculiarità del film sta innanzitutto in questo, è un unicum oggi senza eguali nel cinema italiano – per trovare un termine di paragone bisogna scomodare addirittura certi film di Fellini quali Intervista e I clowns – che trasporta lo spettatore nel mondo fulciano attraverso una serie di testimonianze esclusive delle quali Nicola funge da narratore. Fulci for fake implica quindi una duplice novità: in Italia, almeno in tempi recenti, nessuno ha diretto un film di questo tipo, e nel mondo a tutt’ora è il primo biopic (volutamente molto sui generis) su Lucio Fulci.
Il racconto è introdotto proprio dal corpulento Nicola Nocella, che si appresta a girare una scena del suo film truccato da Fulci: la somiglianza è impressionante, così come impressionante è il disvelamento del volto dell’attore, che si toglie dal vivo barba e capelli finti e il lattice che gli ricopre la faccia, quasi a voler fin da subito evidenziare il rapporto fra realtà e finzione. Il meta-cinema è una costante di Fulci for fake, un film che parla di un altro film (immaginario) sulla vita di un regista, in un complesso meccanismo di scatole cinesi. Vedremo spesso Nicola nel corso della storia: mentre intervista i protagonisti (in realtà, sono scene frutto di un abile montaggio), ancora nei panni di Fulci nella ricreazione della scena iniziale di Un gatto nel cervello, insieme a un’altra attrice (Martina Troni), mentre passeggia malinconico in un ippodromo, oppure in una scena geniale dove Nicola fa recitare l’attrice in vari ruoli fulciani (i musicarelli, Una lucertola dalla pelle di donna, Lo squartatore di New York) – con uno stile personale (sfondo nero e voice-over) già utilizzato in Appunti per la distruzione.
Il narratore introduce così i vari protagonisti della vita di Lucio Fulci, alternati a interventi del critico cinematografico Davide Pulici di Nocturno Cinema, che con la sua consueta abilità narrativa unita a rigore analitico funge un po’ da Virgilio in questo complesso e affascinante mondo. Incontriamo le figlia Camilla Fulci (morta pochi mesi fa, e alla cui memoria è dedicato il film) e Antonella Fulci, personaggi noti come i registi Enrico Vanzina e Michele Soavi, il direttore della fotografia Sergio Salvati, il musicista Fabio Frizzi, l’attore Paolo Malco, e altri meno noti quali Sandro Bitetto, Berenice Sparano e Michele Romagnoli – quest’ultimo, biografo ufficiale di Fulci in quanto autore del libro L’occhio del testimone, unico libro sul regista scritto quando lui era ancora vivo.
La regia di Scafidi ci conduce quindi alla scoperta dei lati più nascosti del regista: il carattere, talvolta affabile e talvolta burbero, la vita segnata dalla sofferenza, il rapporto controverso con le donne, la vita familiare, oltre naturalmente a racconti sulla sua lunga carriera. Non è, e non può essere, una narrazione lineare, ma più un dipinto impressionista che coglie impressioni, aneddoti, ricordi. Il tutto è intervallato da fotografie, scene dal set e soprattutto filmati di repertorio, in particolare sulla sua vita privata, assolutamente inediti e finora invisibili e che impreziosiscono ancora di più un’opera già di per sé unica.
L’obiettivo di Nicola, e quindi di Scafidi, è capire chi era davvero Lucio Fulci: e la conclusione è l’impossibilità di comprenderlo – è un enigma di cui è impossibile scoprire l’essenza, dice Pulici, più che capirlo bisogna “sentirlo” e guardare i suoi film, spiega Antonella. Come viene detto, i grandi registi sono i virtuosi della menzogna, e solo i grandi registi riescono a creare il mito di loro stessi.
Come sempre nei film di Scafidi, la regia presta molta attenzione anche al comparto estetico e tecnico. La fotografia di Patrizio Saccò è molto cinematografica: nelle scene di fiction – dal grigio che accompagna le passeggiate di Nicola alla suddetta scena onirica con Nocella e la Troni, fino a certi cromatismi primari sul volto dell’attrice – ma anche nelle interviste, un dato per niente scontato in un docu-film. Il montaggio di Claudio Rossoni rende infine vivace la narrazione, alternando con sapienza (come se fosse un tutt’uno) scene di fiction, interviste e materiale di repertorio.
Davide Comotti
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