Tom à la ferme, la recensione

Oggi è come se una parte di me fosse morta e io non potessi piangere. Perché ho dimenticato tutti i sinonimi della parola “tristezza”.
Si apre col lutto Tom à la ferme, il quarto film di Xavier Dolan, film precedente a quel grande successo che è stato ed è Mommy, ma distribuito in Italia soltanto oggi, forse in attesa del prossimo Juste la fin du monde, recentemente premiato a Cannes con il Grand Prix du Jury, con cui ha in comune il tema della morte.
Si apre con il lutto e con un’affermazione che chiarisce da subito tutto il senso del film: La sola cosa da fare ora è sostituirti.
La prematura scomparsa di Guillaume lascia un vuoto nell’esistenza di Tom, un giovane copywriter di città, collega e amante del defunto, interpretato dallo stesso Dolan. Quand Tom arrive à la ferme per i funerali, subito scopre che la famiglia ignorava l’omosessualità del morto, credendolo, anzi, fidanzato con Sarah, collega di lavoro di Tom e Guillaume. Tom viene così accolto non come il compagno, ma come un semplice amico del defunto. Ad architettare questo castello di menzogne è stato Francis, il viscido e rozzo fratello di Guillaume. Francis, da subito, tiene in pugno Tom, costringendolo ad assecondare il suo gioco di inganni, sottoponendolo ad ogni sorta di violenze, fisiche ma soprattutto psicologiche. E per puro piacere masochista di affermare la superiorità del grezzo e piccolo mondo dei “topi di campagna” sulla mentalità cittadina e progressista di Tom. Questo piccolo mondo finisce, tuttavia, col sedurre il giovane Tom, che arriva, in un secondo momento, a immaginare di trascorrere il resto della sua vita nella campagna canadese.
Tom odia Francis, ma ne è anche inconsciamente attratto. Il transfert, l’idea di riempire il vuoto lasciato dal morto sostituendo l’oggetto del desiderio si è concretizzato. E nella figura più vicina al morto: il fratello (ha il suo stesso odore, la sua stessa voce, ecc…). Ed è per questo che Tom non reagisce molto ai soprusi di Francis. E’ per questo che non accenna ad andarsene: non riesce a lasciare Francis perché non riesce a lasciar andare Guillaume. A questo proposito, va notata una divizzazione in termini di racconto per immagini nei confronti dell’attore Pierre-Yves Cardinal, volta ad elevare il personaggio di Francis ad oggetto odiato ma adorato.
Tom à la ferme è, dunque, la storia di un complesso meccanismo psicologico che si instaura tra due personaggi che decidono di unire le loro solitudini in seguito ad un lutto, in cui è il dominatore ad essere indomabile. E il dominato finisce col diventare un corrotto “braccio destro” del dominatore.
Tratto da una pièce di Michel Marc Bouchard, il quarto film di Xavier Dolan si distingue dall’opera originale innanzitutto per una resa meno teatrale e più metaforica (vengono tagliati i momenti in cui Tom parla direttamente con il compagno morto) e per una mise en scène volta a sottolineare il carattere disturbante del rapporto tra Tom e Francis, non esente da sfumature omoerotiche. Se il film in sé vuole rifarsi forse a Il servo di Joseph Losey, Dolan preferisce accostarsi invece ad uno stile più vicino Shining di Stanley Kubrick, citandolo apertamente in ben due sequenze del film. E l’adattamento di una pièce rischia così di trasformarsi in un horror. Rischia perché l’horror è soltanto ciò che questo film diventerebbe se il rapporto Tom-Francis venisse esasperato fino alle estreme conseguenze. Ma il film spicca piuttosto per una notevole capacità di saper dosare il ridicolo con il tragico.
Claudio Rugiero
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