The Silent Man, la recensione
Nell’estate del 1972 gli Stati Uniti d’America si preparavano a vivere una delle pagine più controverse nella Storia americana. La notte del 17 giugno, infatti, una guardia di sicurezza che prestava servizio nel complesso di uffici del Watergate Hotel a Washington portò alla luce uno dei più grandi scandali nella politica statunitense: il Watergate, ovvero la scoperta di una delle più clamorose intercettazioni illegali effettuate nel quartier generale del Comitato Nazionale Democratico ad opera di uomini facenti parte del Partito Repubblicano. Uno scandalo inizialmente sottovalutato che però, pian piano, portò al coinvolgimento dell’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon che, proprio a causa del Watergate, fu costretto a dimettersi dalla sfera politica.
Lo scandalo Watergate non ha precedenti nella Storia americana e, proprio per questo, ha suscitato spesso l’attenzione della Settima Arte. Sono tante le pellicole che si sono avvicinate all’argomento, sfiorandolo o trattandolo in modo specifico, e a tal proposito possiamo ricordare Tutti gli uomini del presidente di Pakula o il biopic su Nixon ad opera di Stone, Gli intrighi del potere – Nixon. Occorre giustamente citare, inoltre, due piccoli casi che ammiccano allo scandalo in modo acuto e sottile come il recente The Post di Spielberg o il sempre geniale Forrest Gump di Zemekis che, ad oggi, può vantare il più intelligente ed incisivo riferimento “storico” al Watergate.
Adesso esce nelle sale italiane The Silent Man (Mark Felt: The man who brought down the White House) che si prefigge l’obiettivo di imporsi come film definitivo sull’argomento.
Scritto e diretto da Peter Landesman (Zona d’ombra), The Silent Man è il primo film che racconta nel dettaglio la vicenda di Mark Felt, ovvero l’informatore dell’FBI che, divenuto famoso con lo pseudonimo attribuitogli dai media “Gola Profonda”, guidò in gran segreto i giornalisti del Washington Post a scoprire tutto quello che si nascondeva dietro lo scandalo Watergate.
Le premesse poste alla base di The Silent Man, dunque, appaiono estremamente interessanti e l’euforia raddoppia nel sapere che a prestare il volto al protagonista Mark Felt ci pensa Liam Neeson che, dopo esser divenuto negli ultimi anni una stella del cinema action, torna a ruoli meno fisici come quelli che ce lo hanno fatto amare in passato, da Schindler’s List a Michael Collins. Peccato, tuttavia, che durante la visione del film di Landesman si avverte un senso di profonda delusione che aumenta minuto dopo minuto. Con un’inaspettata veste da tv-movie, The Silent Man è un film che gioca molto male le sue carte a causa, principalmente, di una maldestra gestione dei ritmi narrativi.
Realizzare un biopic sull’ambigua figura di Mark Felt, temuto informatore governativo poiché detentore di enormi segreti capaci di “ribaltare” il Paese in qualunque momento, significava in automatico dar luce ad un intricato ed intrigante film di spionaggio in cui il Potere diviene la “parola” e a contendersela, contemporaneamente, c’è il Governo di Nixon, la stampa del Washington Post e l’FBI di Mark Felt alias “Gola Profonda”. Sorprende, dunque, costatare che da una materia così “calda” Landesman sia riuscito a trarre un film spaventosamente piatto e privo di ritmo in cui le cose accadono senza suscitare la minima reazione nel pubblico che guarda. Non c’è pathos, niente trasporto emotivo, lo scandalo del Watergate viene “raccontato” – anche in modo poco chiaro, diciamolo apertamente – schematicamente e con gelido distacco. A questo punto, forse, sarebbe stato senz’altro più sensato che Landesman trasportasse la vera storia di Mark Felt all’interno di un documentario anziché opera di fiction.
A peggiorare le cose ci pensa il maldestro tentativo di raccontare, nell’ultimo atto del film, un Mark Felt lontano dalla sfera pubblico-governativa per dedicarsi alla vita privata dell’uomo, con la ricerca della figlia scappata di casa e ritrovata all’interno di una comunità hippy. Una parentesi del tutto inutile che non aggiunge realmente nulla al “personaggio” ma finisce solo per allontanare lo spettatore, ancora di più, dallo scandalo protagonista della storia.
Nel cast, oltre al già citato Liam Neeson, troviamo anche Diane Lane e alcuni volti noti del cinema americano ormai relegati per lo più a prodotti televisivi o destinati all’home video come Tom Sizmore e Tony Goldwyn.
In un periodo storico in cui in America si stanno realizzando tanti biopic fuori dagli schemi, coraggiosi e innovativi nel linguaggio, vedere un film come The Silent Man, dallo stile così “vecchio” e televisivo, ci suggerisce che siamo di fronte ad un’enorme occasione mancata.
Peccato.
Giuliano Giacomelli
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