The Iceman, la recensione
Richard Kuklinski, di origini polacche ma nato nel New Jersey, ha ucciso a sangue freddo fino a 250 persone tra gli anni ’60 e ’80, anche se, in sede processuale, gli omicidi che gli sono stati riconosciuti sono circa 100.
La stampa lo soprannominò “Iceman”, perché era solito congelare i cadaveri in modo tale che la polizia non riuscisse immediatamente a risalire al giorno del decesso; ma le sue pulsioni omicide trovarono sfogo anche nella collaborazione con la mafia. Uno dei più feroci killer della storia degli Stati Uniti, ora è diventato protagonista di un film interpretato da Michael Shannon e che si intitola, ovviamente, The Iceman.
La distribuzione nazionale però ci ha messo un po’ a scoprire The Iceman, dal momento che il film diretto dall’israeliano Ariel Vromen è datato 2012, anno in cui fu presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. A portarlo nei nostri cinema è la Barter Entertainment che si rende conto di avere tra le mani un prodotto che cavalca costantemente il confine tra opera autoriale e commerciale. Lo stuolo di divi che affolla The Iceman è una garanzia per molto pubblico attento al nome “da botteghino” e se la sempre splendida Winona Ryder e il villain Ray Liotta ormai non hanno più l’appeal da richiamo al botteghino, l’ottimo Michael Shannon e il “Primo Vendicatore” Chris Evans – nonché James Franco che fa solo un cammeo – hanno la forza giusta per funzionare da specchietto per le allodole.
Ma The Iceman una sua forza motrice ce l’ha anche al di fuori dello star system che scomoda perché è un biopic atipico, un thriller che parla si veri assassini seriali ma tratta il tutto con il rigore hard boiled del gangster movie.
Ariel Vromen, che viene dal thriller Danika e oltre a dirigere ha anche sceneggiato e prodotto The Iceman, è rimasto particolarmente colpito dalla storia di Richard Kuklinski da quando vide il documentario della HBO The Iceman: Confessions of a Mafia Hitman, in cui lo stesso killer intervistato nella prigione del New Jersey dove stava scontando l’ergastolo, raccontava con estrema freddezza se stesso. Da lì l’idea di fare un film sull’Uomo di Ghiaccio e per questo Vromen si è documentato sia dall’autobiografia di Kuklinski che dalla biografia di Anthony Bruno The Iceman: The True Story of a Cold-Blooded Killer. Da questi dati potrebbe apparire scontato che il regista facesse un’operazione dal taglio documentaristico, invece The Iceman ha l’anima del film di genere.
La vita di Kuklinski (Michael Shannon) è raccontata nel momento in cui conosce quella che poi sarebbe diventata sua moglie, Debbie (Winona Ryder). La sua vita “tranquilla” e anche un po’ noiosa – anche se intervallata da qualche omicidio di piacere, come quello del suo concorrente in amore – si svolge tra le quattro mura dello studio di montaggio dove lavora pellicole porno (però dice alla moglie che si occupa di film Disney), finchè gli viene proposto di lavorare per il boss della malavita Roy DeMeo (Ray Liotta). Da quel momento gli impulsi omicidi di Kuklinski vengono “ufficializzati” dal lavoro come sicario per DeMeo, che lo portano spesso ad agire come un vero e proprio macellaio.
Il modo in cui è gestita la bipolarità del protagonista, (serial) killer e marito e padre amorevole, è esemplare e molto conta l’interpretazione di Shannon, che sa rendere a meraviglia la glacialità di questo personaggio, capace di non battere ciglio mentre fa a pezzi con una mannaia un uomo, ma allo stesso tempo affettuosissimo verso la figlioletta e con un codice omicida morale molto ferreo: niente donne o bambini.
Uno dei punti a favore di The Iceman è l’aver voluto evitare il canonico iter del biopic sul serial killer, quindi con la polizia che indaga, i giornali che ne parlano e la psicopatia manifesta del protagonista. Qui tutto è incentrato su Kuklinski e, a parte un paio di accenni alla sua infanzia traumatica, abbiamo un personaggio anomalo per il ruolo che ricopre. Non c’è il punto di vista esterno, quindi polizia o giornalisti, ma solo l’iter nella malavita di Kuklinski, che si snoda come in uno dei più tipici film di gangster di scorsesiana o coppoliana memoria.
Tutto impeccabile, tutto bello ma c’è anche da dire che The Iceman soffre di anonimato. Non c’è un particolare stile registico, non viene raccontato nulla di rivoluzionario e così il piacere che si prova nel guardarlo non prosegue oltre la visione e il film rischia di essere dimenticato in fretta o ricordato esclusivamente per la magnifica prova attoriale di Shannon.
Pregevole ma non incisivo.
Roberto Giacomelli
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