Pet Sematary – Cimitero vivente, la recensione
La famiglia Creed si trasferisce in una casa adiacente alla strada statale che ogni giorno vede sfilare i camion della Orinoco. Il signor Jud avverte subito il suo nuovo vicino di casa Louis Creed di far sterilizzare il loro gatto Church, visto che quella strada è stata letale per molti animali e, come monito, mostra anche alla famiglia Creed il piccolo cimitero degli animali che i bambini hanno eretto proprio dietro la casa dei nuovi venuti. Malgrado l’operazione, Church muore sulla strada proprio durante la festa del Ringraziamento, quando solo Louis è in casa, così Judd decide di svelare al suo vicino un segreto: al di là del piccolo cimitero degli animali c’è un antico cimitero indiano che ha il potere di riportare in vita i morti che vi sono seppelliti. Louis seppellisce lì il suo gatto, che torna in vita la notte stessa, solo che Church non sembra più lo stesso. Tempo dopo, la nuova vittima della statale è Gage, secondogenito della famiglia Creed. Louis, distrutto dal dolore e abbagliato dalla follia, decide di seppellire nel cimitero indiano anche il suo piccolo defunto.
Ci sono film celebrati in ogni dove e in ogni epoca, generatori di seguiti, epigoni e quant’altro, film che hanno una fama che spesso va anche oltre la realtà qualitativa, che si mostrano delle vere e proprie galline dalle uova d’oro in mano alle majors. Poi ci sono quei film a cui il successo di pubblico (e anche di critica) non è mancato, hanno avuto un discreto seguito e quando si riportano alla mente si finisce per celebrare l’epoca in cui sono stati prodotti o li si è visti. “Bei tempi, quelli”, in genere si esordisce o si chiude così, si rispolvera qualche evento, si celebra un po’ il valore del film in questione e poi si finisce per parlare d’altro, conservando di nuovo nel cassetto della memoria l’oggetto di discussione da cui tutto è partito. Pet Sematary – Cimitero vivente ha avuto un po’ questa sorte.
Tratto dal celebre romanzo di Stephen King, Cimitero vivente è un bellissimo e struggente affresco del dolore che accompagna la perdita di un proprio caro, nonché un inquietante e crudele zombie movie. Il modo in cui King (qui sceneggiatore) e Mary Lambert (regista) descrivono la quiete e la felicità familiare costellata da inquietanti presagi di morte è esemplare: inizialmente non esistono personaggi negativi, tutti sono ammantati da buone intenzioni e da dedizione alla famiglia. I presagi dell’orrore che da lì a poco irromperà nella famiglia Creed però sono lampanti, assumono l’aspetto di luoghi inquietanti che reclamano animali domestici, si manifestano attraverso i dolori di pancia che perseguitano Missy Dendrige, prendono le sembianze di un fantasma e, soprattutto, rompono il silenzio con il frastuono dei micidiali camion che attraversano quotidianamente la statale. I presagi si fanno sempre più insistenti, gli innocenti (la piccola Ellie) hanno sogni premonitori e le persone cominciano a mostrare i propri scheletri nell’armadio (la complicata vicenda che sta dietro la malattia di Zelda). Su tutto aleggia sempre un’area plumbea e opprimente, che trova esplosione nella morte del piccolo Gage e tutto ciò che consegue.
Mary Lambert – che dirigerà anche il sequel, ma con minor forza espressiva, prima di finire a lavorare prevalentemente per la tv – dà vita a una delle scene più dolorose e struggenti che la storia del cinema horror moderno ricordi, ovvero la morte del piccolo Gage: scarpetta sporca di sangue che rotola sull’asfalto, urlo straziato e straziante di un padre alternato a fotografie che mostrano i momenti più felici che il bambino aveva vissuto. Ma la Lambert non ha pietà per un lutto così angosciante e porta in scena il macabro kinghiano senza sconti, descrivendo la discesa nell’abisso di Louis Creed in modo credibile.
Cimitero vivente vanta almeno due momenti di autentico terrore ancora oggi di grande impatto: i flashback sulla sofferente Zelda (interpretata da un uomo, Andrew Hubatsek) che pronuncia in modo sinistro il nome di sua sorella Rachel; il lungo finale nella casa di Jud con le azioni del Gage “ritornante”. Inoltre, il modo esplicito e decisamente “crudo” con il quale viene trattata la tematica della morte, in particolare quella infantile, riesce realmente a risultare a tratti disturbante, tanto da far beccare al film un divieto ai minori di 18 anni.
Il difetto maggiore che affligge Cimitero vivente è forse l’incapacità da parte di King di scremare a dovere il suo romanzo, lasciando in modo massiccio alcuni elementi che in un film non funzionano benissimo e che si potevano sicuramente ridurre, come la troppo insistente presenza del fantasma Victor Pascow, che a volte risulta invadente e ridondante a sottolineare un messaggio che lo spettatore capisce al volo.
Buono il cast, composto da Dale Midkiff (Il corvo 3) nel ruolo di Louis, Denise Crosby (Il custode) in quello di sua moglie Rachel, Fred Gwynne (l’Herman Munster nella serie tv I Mostri) nei panni del vicino di casa Jud, e il piccolo Miko Hughes (Nightmare – Nuovo Incubo; Codice Mercury, Spawn) in quelli di Gage. Indimenticabile il gatto Church, probabilmente il felino più inquietante mai apparso in un film.
In conclusione, Cimitero vivente è un gran film dell’orrore, realmente inquietante e profondante angosciante, soprattutto se si guarda da adulti; non è esente da difetti ma rimane godibile ed efficace anche a distanza di oltre trent’anni. Una delle migliori trasposizioni da un romanzo di Stephen King, magia che il remake diretto da Kevin Kölsch e Dennis Widmyer nel 2019 non è riuscita a replicare.
Roberto Giacomelli
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