Mister Link, la recensione
A dieci anni esatti dall’uscita nei cinema di tutto il mondo di Coraline e la porta magica (2009), film felicemente burtoniano diretto da Henry Selick e basato sul racconto di Neil Gaiman, la casa di produzione Laika festeggia il suo anniversario con un piccolo grande film d’avventura, Mister Link, sempre rigorosamente realizzato con una tecnica mista di stop-motion e animazione CGI.
Candidato agli Oscar e vittorioso di un Golden Globe come miglior film d’animazione, Mister Link arriva in Italia con gran ritardo a un anno e mezzo dal suo rilascio internazionale, distribuito in sala da 01 Distribution e Leone Film Group il 17 settembre 2020.
L’intrepido avventuriero Sir Lionel Frost riceve da un misterioso committente l’invito in Canada per scovare il leggendario Sasquatch e, giunto a destinazione, scopre che ad averlo convocato è il Sasquatch stesso, dotato di parola e intelligente, anche se molto ingenuo. La creatura assolda Frost nell’impresa di raggiungere l’Himalaya alla ricerca della leggendaria città di Shangri-La, dove si dice viva il popolo degli Yeti, creature simili al Sasquatch che possano accoglierlo tra loro. Lionel Frost, dopo aver battezzato Mr. Link il suo committente, si dirige con lui alla volta dell’Asia ma prima ha bisogno di una mappa custodita nella tenuta in Messico della vedova Fortnight. Inoltre, alle costole di Frost c’è Willard Stenk, un sicario arruolato da Lord Piggot-Dunceby per impedire all’avventuriero di portare a termine la missione.
Con un mix molto riuscito d’avventura e ironia british, Mister Link rappresenta l’esordio come regista solista di Chris Butler, che aveva già co-diretto per Laika ParaNorman e scritto Kubo e la spada magica. Partendo da una tenace infarinatura di criptozoologia, Mister Link ci presenta un avventuriero che appare come un miscuglio tra Sherlock Holmes e Indiana Jones, dai quali prende soprattutto una massiccia dose di spavalderia ed egocentrismo. Attorno a questo personaggio, di cui facciamo conoscenza nel bel mezzo del lago Loch Ness alla ricerca del celebre Nessie, ruota tutta una élite esclusiva di cacciatori-lord-esploratori, invidiosissimi dei successi altrui e sempre in prima linea quando si tratta di raccogliere le lodi di una scoperta in campo zoologico e geografico. In fin dei conti siamo nella Londra del XIX secolo, periodo di scoperte che hanno rivoluzionato il sapere umano, cambiando indelebilmente il mondo.
Con un senso dell’umorismo mai grossolano e alcune battute realmente sagaci, Mister Link ci porta alla scoperta di un nuovo-nuovo mondo, nascosto negli avamposti più impraticabili della Terra, per far si che un “diverso” come Mr. Link – o Susan, come vuole essere chiamato in un’apoteosi gender fluid che fa sorridere di gusto – possa sentirsi finalmente amato e accettato per quello che è. Ovviamente non tutto va secondo i piani e il film di Chris Butler ci insegna che spesso il proprio posto al mondo è nel luogo che meno ci saremmo aspettati. Con una morale ottimista e inclusiva, ma lontana dagli eccessi fastidiosamente “buonisti” della Hollywood contemporanea, Mister Link si presenta come una favola piena di positività e squisitamente old style che unisce un’animazione di grande classe a una sobrietà e un garbo narrativi e stilistici che capaci di mettere serenità.
Ovviamente non tutto è perfetto e soprattutto dal punto di vista dei personaggi troviamo forti squilibri. Se da una parte Lionel Frost (in originale doppiato da Hugh Jackman) e Mr.Link/Susan (Zach Galifianakis) sono ben tratteggiati, simpatici e capaci di trascinare l’intera azione, dall’altra i villains (Timothy Olyphant e Stephen Fry) e la comprimaria Adelina Fortnight (con la voce di Zoe Saldana) sono davvero accessori alla storia e poco incisivi.
In perfetto stile Laika, Mister Link è un film d’animazione che parla più agli adulti che ai bambini, vuoi per il sottile umorismo e i riferimenti alla Storia, vuoi per la grafica vintage, inoltre porta avanti un discorso sui grandi generi narrativi classici che dal coming of age di Coraline all’horror di ParaNorman, arriva all’epica fantastica di Kubo e ora all’avventura. Un percorso interessante e, fortunatamente, lontano dalla standardizzazione di stili e linguaggi a cui Hollywood ci sta abituando.
Roberto Giacomelli
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