La notte del 12, la recensione

È la notte del 12 ottobre. In un tranquillo paesino di montagna nella Francia sud-orientale si compie un omicidio atroce: Clara, una ragazza poco più che adolescente, viene uccisa da uno sconosciuto che le da fuoco e la lascia morire per strada fra le fiamme. Il caso viene affidato al giovane capitano della polizia giudiziaria di Grenoble, Yohan Vivès. Il giovane poliziotto, dopo aver informato la famiglia di Clara del tragico avvenimento, inizia un’indagine che lo porta ad incontrare e conoscere tutti gli amici di Clara, i semplici conoscenti o i fugaci amanti. L’indagine, che sin da subito sembra non portare da nessuna parte, fa sprofondare Yohan nella depressione e nell’ossessione quando realizza che tutti gli interrogati potrebbero essere colpevoli dell’omicidio. Ma la cosa peggiore è rappresentata da una società che, davanti ad un caso del genere, sembra essere più propensa a condannare la vittima che a scovare il carnefice.

A tre anni di distanza dal suo precedente Only the Animals – Storie di spiriti amanti, il regista tedesco naturalizzato francese Dominik Moll torna al thriller e lo fa con una storia cruda e soffocante tratta da una triste storia vera narrata nel libro inchiesta 18.3 Une annéè à la PJ di Pauline Guéna.

Il film di Moll si apre con un cartello. Un monito ben preciso che anticipa molto di quello che andremo a vedere nei minuti successivi. Una didascalia che ci informa di un dato tanto reale quanto terrificante, ossia che in Francia, dei tantissimi omicidi che vengono annualmente compiuti, circa un 20% è destinato a rimanere insoluto. Molti di questi sono destinati a diventare una vera e propria ossessione per l’investigatore che se ne occupa.

In questa didascalia è appunto racchiusa buona parte dell’essenza de La notte del 12, un thriller poliziesco che intraprende la via dell’estremo realismo risultando, in più occasioni, un vero e proprio pugno nello stomaco di chi guarda.

Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, La notte del 12 è un thriller decisamente anomalo poiché, accendendo il focus su un fatto di cronaca nera davvero accaduto, mette subito lo spettatore davanti ad un’amarissima verità: il colpevole non è mai stato individuato e perciò, va da sé, il caso – tanto quello reale quanto quello cinematografico – è destinato a non avere una soluzione.

Perciò un thriller fondato su un’indagine priva di un colpevole da punire. Una premessa quasi anti-cinematografica che, tuttavia, non può fare a meno di riportare alla memoria il bel Zodiac di David Fincher. Stando proprio a questa costruzione, dovendo perciò maneggiare un’indagine che non fa altro che inseguire il nulla, Dominik Moll ha l’ottima pensata di spostare leggermente il focus della sua narrazione.

La notte del 12 è un film d’indagine a tutti gli effetti. Come nel più classico dei romanzi gialli, la vicenda si apre con l’omicidio, poi c’è l’entrata in scena della polizia e, da quel momento, una lunga lista di interrogatori ed indizi che sembrano condurre sempre più vicino alla risoluzione del caso. Dunque, sarebbe scorretto e poco esatto affermare che La notte del 12 non è un film al cui centro è posta l’indagine.

Un’affermazione che sarebbe tanto scorretta quanto reale.

A Dominik Moll non interessa soffermarsi in modo maniacale sull’indagine, sui dettagli nascosti e sugli indizi invisibili. Nonostante il film sia un susseguirsi di interrogatori mirati a capire, davvero, chi fosse Clara e per quale motivo sia stata uccisa in quel modo così barbaro, ciò che sembra interessare realmente al regista è l’indagine introspettiva che compie Yohan su sé stesso a mano a mano che il caso viene fagocitato dal nulla.

Qui l’intuizione vincente di Moll, la chiave di volta che eleva La notte del 12 a qualcosa di molto più profondo e complesso di un “semplice” thriller. La vera indagine non è da riscontrare nelle parole degli amici, dei conoscenti e dei ragazzi con cui andava Clara. Le loro testimonianze sono per lo più futili, inconcludenti, poco preziose. Nessuna testimonianza funge da reale gancio per quella successiva ed è proprio in questa inconsistenza delle informazioni che si può ravvisare il vero cuore pulsante del film.

Nel tentativo di rincorrere una verità “altra” rispetto a quella intrinseca alla storia, Moll sembra attratto dall’idea di restituire al pubblico quel senso di impotenza e di inadeguatezza che può schiacciare molti agenti di polizia quando non riescono a fiutare indizi da nessuna parte. E questo non ha nulla a che spartire con le qualità investigative dell’agente. La vita, proprio perché diversa dal cinema, è generalmente un insieme di accadimenti che avvengono e basta e non sempre lasciano “indizi” utili per portare avanti un discorso. Qui si innesca quel 20% della premessa iniziale e, di conseguenza, quell’ossessione che può attanagliare le forze dell’ordine di cui ci parla l’autore ad inizio film.

Ma Dominik Moll non si ferma qui e non si accontenta di raccontare un’indagine introspettiva in cui il protagonista sprofonda nell’ossessione, a mano a mano che l’indagine evolve. Anzi, a mano a mano che l’indagine involve. Moll non vuole solo raccontare quell’opprimente e soffocante senso d’impotenza dettato da un caso in cui non c’è nessuna reale pista da seguire. No, il regista vuole andare più a fondo e impreziosisce questa condizione di impotenza con un male superiore, un male sociale a tutti gli effetti, un male che sembra diffondersi da sempre tra gli esseri umani e quindi ormai impossibile da estirpare.

Questo male sembra essere rappresentato molto banalmente – un banale che non può essere più spaventoso di così – da una “guerra” silenziosa e invisibile che c’è da sempre tra gli uomini e le donne. Una guerra che sembra essere ormai calcificata nelle fondamenta della nostra società e che ha portato, di conseguenza, ad abituarsi a certi accadimenti deplorevoli.

Più l’indagine prova a cercare uno sviluppo e più La notte del 12 assume i connotati di un thriller decisamente intelligente che vuole indagare sulla causa del femminicidio. Nel mentre l’identità del killer fatica a venire a galla, infatti, l’indagine sembra andare incontro ad un punto di stallo poiché tutto suggerisce che Clara sia stata uccisa solo in quanto donna. Una cosa che può succedere, che non spaventa realmente nessuno, perché la società di oggi (come anche quella di ieri) ci ha abituati a questa cosa.

L’omicidio sembra essere meno spaventoso se ad essere coinvolta è una donna, magari giovane e carina, possibilmente senza troppi tabù mentali per quel che concerne la sfera sessuale. Uno spavento che viene meno perché “sono cose che succedono” o perché “se l’è andata a cercare”. A tal proposito è proprio l’interrogatorio tra Yohan e la migliore amica di Clara a rappresentare uno dei momenti più forti – narrativamente ed emotivamente – di tutto il film: quando l’interrogata, dopo essere scoppiata a piangere, lamenta di non capire il senso di molte domande della polizia, tutte così focalizzate solo ed esclusivamente sull’attività sessuale della vittima.

Occhio però a non fraintendere. La notte del 12 resta comunque un solidissimo thriller capace di abbracciare un’ottima forma di intrattenimento e, di conseguenza, non ha nessuna pretesa di porsi come film di denuncia. Dominik Moll non fa altro che appropriarsi di un genere, calarlo in un contesto spaventosamente reale, analizzarlo antropologicamente e provare a raccontare l’effetto che può avere un caso irrisolto sulla psiche di chi se ne occupa per anni senza mai venirne a capo.

Quando il cinema è fatto con gusto e intelligenza.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un thriller compatto, estremamente adulto e realistico.
  • Narrazione avvincente, capace di suggerire davvero il senso d’impotenza del protagonista.
  • Un discorso relativo al femminicidio portato avanti con intelligenza e senza logore retoriche.
  • Se cercate un thriller più canonico, di quelli che finiscono con l’arresto o l’omicidio del killer, state alla larga da questo film. Potreste avere la sensazione d’aver perso tempo.
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