Jem e le Holograms, la recensione

Se siete stati bambini negli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, molto probabilmente vi siete imbattuti in Jem, un cartoon americano che impazzava sulle allora reti Finivenst, ideato da Chirsty Marx e diviso in tre stagioni, per un totale di 65 episodi. Quel cartoon era ispirato a una linea di bambole della Hasbro e come parte dei giocattoli Hasbro, oggi si è trasformato in film! E così, dopo Transformers, G.I. Joe, Tartarughe Ninja e Battleship, ecco arrivare Jem e le Holograms, diretto da Jon M. Chu e prodotto dalla casa esperta in horror a basso costo BlumHouse.

Con un budget di soli 5 milioni di dollari e un guadagno di poco più di 2 milioni, Jem e le Holograms è stato uno dei più pesanti flop del 2015 che ha immediatamente stroncato ogni possibilità di trasformarsi in un franchise cinematografico. Ma cosa ha decretato l’insuccesso di questo film? Facile a dirsi: la scelta di una proprietà intellettuale sbagliata.

Il cartoon, così come la linea di giocattoli, era indirizzato a un pubblico femminile che – tabulati di marketing alla mano – è potenzialmente meno nostalgico verso questo tipo di prodotti di chi invece giocava con i G.I. Joe e le Tartarughe Ninja. Di conseguenza, un prodotto come Jem dovrebbe per buona parte costruirsi un pubblico completamente nuovo e visto che il film di Jon M. Chu si abbandona a un oceano di cliché, se non è il brand ad attirare, perché mai lo dovrebbe un film che in fondo non offre nulla di nuovo? Aggiungete, poi, che come adattamento Jem e le Holograms non è neanche particolarmente fedele, facendo una serie di stravolgimenti che probabilmente i fan di vecchia data neanche hanno gradito granché.

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Nel cartoon l’adolescente Jerrica Benton è erede della Starlight Music, una casa discografica piena di debiti lasciatale dal padre defunto. Jerrica, con l’aiuto del super-computer Energy, si trasforma nella rockstar Jem e mette su una band insieme alla sorella Kimber e alle amiche Shana e Aja. La Starlight si risolleva grazie al successo di Jem, ma la ragazza non riesce a gestire la sua doppia identità, soprattutto nella sua storia d’amore con il tutto fare della Starlight, Rio. Inoltre Eric Raymond, ex socio del padre di Jerrica, fa una spietata concorrenza alla Starlight e lancia un gruppo avversario alle Holograms, le Misfits.

Tutto questo è stato adattato ai giorni nostri e all’epoca dei social network. Jerrica è un’adolescente introversa, orfana ma con un grande talento canoro. Vive con la zia, la sorella Kimber e due sorelle adottive, Aja e Shana, e insieme a loro si diverte a esibirsi in siparietti musicali amatoriali. Kimber, che registra tutto quello che fa durante il giorno e poi carica ogni cosa sui social network, mette su YouTube un video della sorella alla sua insaputa e questo diventa virale. Alla porta di Jerrica bussa la produttrice discografica Erica Raymond, proprietaria della Starlight, che offre a Jerrica un contratto d’esclusiva, fondato sul mistero della sua identità. Nasce così il fenomeno Jem. Ma la ragazza ha anche un robottino rotto che somiglia a Eve di Wall-E, lasciatole dal padre inventore, che un giorno si attiva e fornisce a Jerrica le coordinate per una sorta di caccia al tesoro che le dà la possibilità di scoprire l’eredità del genitore scomparso.

C’è anche Rio, che qui è il figlio di Erica Raymond e “guardia del corpo” di Jem.

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Come potete notare, le differenze sono molte. E seppure il prodotto conservi un po’ tutte le caratteristiche salienti dell’originale, va a peccare proprio in quello che era l’elemento narrativo caratterizzate di Jem: la doppia identità. Qui a Jerrica non importa di essere identificata come Jem, questa è una questione che riguarda maggiormente la sua discografica per motivi legati all’immagine del “personaggio”, e la crisi che questo generava nella sua relazione con Rio in questo caso non sussiste. Anche la sottotrama del padre, con il robot che dà a Jerrica gli elementi per ricordarlo, appare decisamente pretestuoso e anche abbastanza intruso, tanto che ci viene da pensare che, visti i sostanziali stravolgimenti, il film ci avrebbe guadagnato se si fosse svincolato completamente da questi debiti verso i fan, camminando con le gambe proprie.

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Jem e le Holograms si adagia su tutti i cliché di quei film in cui il protagonista deve imparare a gestire un improvviso successo: fortuna iniziale, situazione che lo mette alla prova, forzato tradimento degli amici, riappacificamento, scoperta dell’amore, happy end… c’è perfino un cattivo improvvisato che mette i bastoni fra le ruote. Insomma, la prevedibilità fa da padrone. Però, proprio per questa sua struttura collaudata e fortemente riconoscibile, Jem e le Holograms si fa seguire senza annoiare mai, pone l’attenzione su come il successo ai tempi del web può essere alla portata di tutti e anche molto effimero, e costrusice un’operazione stilosa che si presenta come prodotto ben più ricco di quanto effettivamente sia.

Alla fine, il risultato è un film ingenuo tanto quanto il cartoon da cui nasce, con una frecciatina alle odierne pop-star costruite con la catena di montaggio (e quando Jem diventa Lady Gaga secondo il progetto di Erica Raymond la freccia va proprio a fondo!). C’è perfino un richiamo al decennio in cui Jem nasceva con la partecipazione dell’attrice Molly Ringwald, che ricordiamo in film cult come Sixteen Candels (1984), Breakfast Club (1985) e Bella in rosa (1986), qui nei panni della zia di Jerrica e Kimber.

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Juliette Lewis interpreta la produttrice discografica Erica Raymond, ma la figura migliore del lotto la fa la protagonista Aubrey Peeples, vista in Sharknado e la serie tv Nashville, che ha presenza scenica e sa anche recitare.

A dirigere il regista di Step Up 2 e 3 Jon M. Chu, che ha appena diretto Now You See Me 2 e con la Hasbro aveva già collaborato per la regia di G.I. Joe – La vendetta.

Jem e le Holograms non è di certo quel disastro che ci vogliono far credere, ma un onesto filmetto per adolescenti che si lascia guardare e scorre veloce come un frecciarossa, pur presentando tutti i difetti che il filone teen-musicale solitamente si trascina dietro.

Non uscite subito dalla sala al partire dei titoli di coda perché c’è una scena post credits piuttosto importante per la “mitologia” di Jem e che avrebbe fornito un succoso aggancio per il sequel che mai vedrà la luce. E viene quasi da dire purtroppo.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il film ha ritmo ed è colorato.
  • Aubrey Peeples se la cava molto bene.
  • Troppe differenze col materiale d’origine.
  • La sottotrama del padre è intrusa come un pinguino all’equatore.
  • È talmente ricco di cliché che a un certo punto alcune soluzioni vengono date per scontate.
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