Guarda in alto, la recensione
Per spiegare bene cosa rappresenti l’opera prima di Fulvio Risuleo c’è bisogno di fare un piccolo sforzo immaginativo. Roma è una città meravigliosa e tremenda, in cui orde di giovani sgomitano alla ricerca di una prospettiva lavorativa per sbarcare il lunario, respirando un passato millenario che però molto spesso cozza con una realtà soffocante. Teco (interpretato da Giacomo Ferrara) ne è l’esempio perfetto: è impegnato come assistente in un forno romano con i suoi orari improbabili in un ambiente quasi tetro, come le sue prospettive. L’unico sbocco è salire sul tetto dello stabile in cui lavora per una pausa sigaretta e osservare Roma dall’alto per trovare uno stimolo ad andare avanti.
Ed è quello che puntualmente succede quando uno strano gabbiano sorvola sulla sua testa precipitando poco lontano, dando il via ad un road-movie che procede tra misteriose suore, una comunità di bambini sperduti, gemelli nudi e aviatori in mongolfiera lungo i tetti di una Roma consumata ma capace di giocarsi ancora qualche asso inaspettato. Questo procedere apparentemente pindarico sembra quasi un omaggio alla gestazione di un film da sempre nei pensieri del regista, come annunciato in conferenza stampa, e che ha trovato i suoi pezzi senza affrettare i tempi. Per questo motivo è possibile ritrovare un ormai dimenticato Lou Castel nei panni di Baobab o guardare (realmente, sul tetto del cinema Maestoso) un graffito che raffigura il progetto del Muto per costruire un razzo, senza che nulla sia fuori posto.
Il livello di surrealtà dei quadri che il giovane Teco deve completare lungo i novanta minuti del film è l’unica sfida da accettare per un tentativo coraggioso di un progetto che risuona di un accurato storyboard a carattere quasi fumettistico realizzato da Giacomo Nanni, osando semplicemente liberare il sogno del protagonista e dell’autore di poter trovare una boccata d’aria in un mondo che altrimenti rischierebbe di diventare vuoto e spoglio. Lo spiega benissimo il regista: infatti i tetti si possono considerare una grande metafora del mondo ideale che ognuno di noi cerca, sogna o immagina per sé stesso e per gli altri. Un mondo dove tutto può succedere e ogni cosa è in continua trasformazione. Gli spettatori, usciti dalla sala, dovrebbero avere l’istinto di guardare verso l’alto per controllare se, effettivamente, ci sia qualcosa lì sopra che prima non avevano notato.
Si avverte perennemente questo proposito, anzi a volte rischia di essere totalmente manifesto da perdere gran parte della propria potenza visiva, lasciando venir fuori un’estrema cura formale che ha il compito di sostituirsi alla storia in senso stretto con un altissimo coefficiente di rischio. L’idea di guardare in alto per sfuggire alle amarezze della vita è una situazione potenzialmente universale, ma che a mano a mano diventa soltanto il personalissimo punto di vista del regista a riguardo, rimanendo interrotto nel suo proposito. Come un sogno bellissimo ma che rimane tale.
Andrea De Vinco
PRO | CONTRO |
La colonna sonora di Sun Awar
Ottimo lavoro su scenografie e props La surrealtà impiantata a Roma |
Limiti delle situazioni oniriche
La funzionalità limitante del cast di supporto |
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