Corri ragazzo corri, la recensione

La neve che ricopre i desolati campi polacchi ricorda la coltre di fredda pazzia che ha portato alla barbarie del genocidio degli ebrei. Tutto quello che ci rende umani, l’empatia, la pietà verso i nostri simili, è stato pietrificato in nome di una ideologia mortifera e folle.

Sul palcoscenico degli orrori segnati dal Nazionalsocialismo tedesco, si srotola la vicenda di Skrulik, bambino polacco del ghetto di Varsavia che a otto anni è costretto a lasciare la sua famiglia e a scappare per mettersi in salvo dopo aver ricevuto dall’amorevole padre la consegna a sopravvivere a qualsiasi costo, fingendo di essere un’altra persona, dimenticando le sue radici e la sua famiglia, coltivando l’oblio di tutto tranne l’appartenenza al “Popolo eletto”.

Srulik diventa dunque Jurek Staniak, un bambino cattolico, orfano in cerca di sostentamento in cambio di lavoro.

Inizialmente la sua fuga si intreccia con quella di altri ragazzini nelle sue stesse condizioni. Bambini che vivono nel bosco e che provano a derubare i contadini di quel poco che gli serve per mangiare e per scaldarsi, ma per sopravvivere bisogna essere spietati e se qualcuno rimane indietro non ci si può fermare ad aspettarlo. Jurek si ritrova solo nel bosco, disperato e spaventato, ma è capace di un coraggio immenso per un bambino della sua età, che gli impedisce di darsi per vinto.

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Durante i tre anni che lo separano dalla fine della guerra, con l’arrivo da ovest dei russi, Jurek impara a cacciare, a vivere sugli alberi, a chiedere ospitalità ai contadini facendo i lavori più disparati.

Il suo viaggio disperato lo mette in contatto con una varia umanità. Molte persone semplici rischieranno tutto pur di aiutarlo. A partire dal signore che lo nasconde sul suo carretto per uscire dal ghetto, alla donna che ha marito e figli partigiani lontani  che lo accoglie nella sua casa come fosse un figlio. Contadini generosi oppure malvagi e avidi, pronti a fingersi compassionevoli per poi consegnarlo alle SS e ricevere la ricompensa, un atto così squallido da suscitare lo sdegno dell’ufficiale nazista che prende Jurek in consegna. Ma la cattura non arresta questo bambino intelligente e pieno di ingegno, che si aggrappa alla vita con i denti e che proprio perchè dotato di uno sguardo innocente, riesce ancora a conservare un atteggiamento fiducioso verso il prossimo e a non lasciarsi abbrutire dalle circostanze.

Tanti sono coloro che tra le file naziste vedono in Jurek semplicemente un bambino e non un nemico da schiacciare e dunque non osano intralciare la sua lotta contro un destino insensato.

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Le due polarità del film oscillano tra il “Quanta malvagità” urlato dal medico ariano che si accorge di Jurek abbandonato su una barella in preda alla febbre per setticemia (per un braccio incancrenito, situazione evitabile se un altro medico non gli avesse  negato l’operazione in quanto ebreo), e lo spiegamento ingente di forze per riacchiappare Jurek sfuggito ai nazisti, come fosse il più temibile criminale.

Ci sono poi il male e il bene involontari. Come i partigiani che uccidono il cane che il bambino aveva trovato ferito nel bosco, che aveva curato e che gli dava conforto o come il signore ebreo, vicino di casa dell’ultima famiglia che lo ospita, che contatta l’orfanotrofio ebreo per permettergli di non nascondersi più, sradicando  nuovamente Jurek da quello stato di stabilità così duramente conquistato.

Il film è un’odissea sia fisica, con Jurek che dopo tante traversie ritorna “a casa” ossia non deve correre più, che identitaria, perchè se nei tre anni di fuga egli ha dovuto cancellare la propria identità e la propria fede (imparando nuove preghiere e riti, inventando motivazioni plausibili per spiegare l’essere circonciso) arrivando a rinnegare l’essere ebreo, come stigma che gli ha causato la perdita del braccio, alla fine decide di tenere fede alla promessa fatta al padre, riunendosi alla sua gente, al popolo d’Israele.

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Questa struggente e potente storia sul “bambino più coraggioso”, per quanto assurda e atroce, è una storia vera, quella di Yoram Friedman.

La sua vicenda è stata raccolta da Uri Orlev, il più importante scrittore israeliano per ragazzi nel bestseller Corri ragazzo corri.

Il film volge alla conclusione mostrandoci il presente di Jurek-Sruli oggi settantanovenne marito e nonno che vive in Israele e che non si stanca di raccontare la sua storia a chiunque voglia ascoltarla.

Come spiega il regista Pepe Danquart, il film vuole essere un inno alla vita, alla capacità di non arrendersi e di cercare sempre una via d’uscita. Un film per nulla cupo, dove l’amabile caparbietà di Jurek nel cercare di seminare il mortifero odio nazista che lo incalza senza tregua è un esempio di coraggio luminoso.

Danquart riprende il discorso sul razzismo, affrontato in Scharzfahrer che gli è valso un Oscar nel 1994 per il miglior cortometraggio.

Il 26, 27 e 28 gennaio ci sarà un’uscita evento del film in occasione della Giornata della Memoria.

Giusy Andreano

PRO CONTRO
  • Un’iniezione di amore per la vita.
  • Al pari del diario di Anna Frank e di “Un sacchetto di biglie” di Joseph Joffo, anche la storia di Jurek diventa una testimonianza di grande valore storico per riflettere sugli orrori della Storia.
  • Andrzej Tkaczz, il giovanissimo attore che interpreta Jurek, è adorabile.
  • Alcuni momenti di gustose risate.
  • Se siete emotivi, verserete più di una lacrima, per le signore niente mascara.
  • L’indignazione di fronte a quanto accaduto vi renderà furiosi, con una spiacevole sensazione di impotenza.
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