Boxtrolls – Le scatole magiche, la recensione
Non è nota come la Disney/Pixar ne come la DreamWorks Animation, eppure la Laika Entertainment sta, pian pianino, costruendosi un nome e una credibilità in quanto realtà legata all’universo del cinema d’animazione. Fondata negli anni ’90 e con due soli lungometraggi all’attivo, Coraline e la porta magica (2009) e ParaNorman (2012), la Laika ora ci riprova con Boxtrolls – Le scatole magiche, confermando così la firma autoriale che riesce a imprimere sui suoi lavori.
Infatti, sia Coraline – che era diretto da burtoniano Henry Selick – che ParaNorman avevano una cifra stilistica comune che oggi si ripete pienamente anche in Boxtrolls. Innanzitutto, caratteristica comune dei prodotti Laika è l’essere realizzati in stop-motion 3D, poi deve esserci essenzialmente un gusto per il macabro e il goticheggiante. Tutto ciò ci suggerisce che il peso avuto da Selick, che è stato anche supervisore generale per lo Studio, nella visione d’ensemble dei prodotti Laika è stato preponderante in quanto quel tocco dark, che oggi definiremo senza mezze misure burtoniano, è la cifra distintiva di queste opere.
Boxtrolls, come si diceva, non tradisce le aspettative e ci immerge immediatamente in un ambiente dall’architettura vittoriana che più dark non si può: Montecacio. Lì c’è l’ossessione per lo sfarzo, l’ordine e il… formaggio, ma si vive anche nel timore dei boxtrolls, esserini mostruosi che abitano i bassifondi della città, si mimetizzano nelle scatole, che indossano come abiti, e rapiscono i bambini per cibarsene. In realtà i boxtrolls non sono così cattivi come gli abitanti di Montecacio credono, sono ghiotti di formaggio, ma non di bambini, anzi ne hanno adottato uno che hanno chiamato Eggs e allevato come se fosse uno di loro. Un giorno, però, a Montecacio arriva il disinfestatore Archibald Snatcher che mette in atto un piano per catturare e uccidere tutti i boxtrolls.
Si nota subito, fin dall’inizio, come Boxtrolls, così come accaduto con Coraline e ParaNorman, non sia un film per bambini, malgrado appartenga all’universo del cinema d’animazione. Se in passato la Laika cavalcava scenari più o meno horror, con Boxtrolls si abbandonano zombi, streghe e dimensioni parallele ma si tiene un’atmosfera funerea tipicamente halloweeniana. Boxtrolls è un film dai toni cupi, dai colori grigio-marroni, dalle forme gotiche e dai personaggi morfologicamente sgradevoli, inoltre si pesta il piede sul pedale della cattiveria e non mancano gag che prevedono risvolti macabri o violenti.
Insomma, un film che finalmente non pratica il facile buonismo e può essere apprezzato dagli adulti più che dai bambini!
Proprio nell’ottica “burtoniana”, Boxtrolls si fa fieramente portabandiera dei reietti, è un film dalla parte dei mostri perché ci racconta quanto non è l’aspetto a qualificare l’indole. I trolls, che son mostruosi e tutti li credono assassini mangia-bambini, oltre che ladri di formaggio, appartengono in realtà solo a questa seconda categoria, mostrandosi invece ben più “umani” degli umani. E infatti gli abitanti di Montecacio, arrivisti ed egoisti, non si curano dei propri cari millantando orrori lì dove non ve ne sono. L’abito non fa il monaco, dunque, e il peggiore dei mostri è Archibald Snatcher, falso profeta attaccato alla moneta (e al cacio) che è il vero villain della vicenda.
I registi Graham Annable e Anthony Stacchi, affidandosi alla sceneggiatura di Irena Brignull e Adam Pava, che a loro volta mutuano dal libro illustrato Arrivano i mostri di Alan Snow, giocano moltissimo sul ribaltamento dei ruoli e sul “non fidarsi dell’apparenza” e il film ci mostra subito i rivoltanti trolls per smentirsi immediatamente e dipingerceli come amorevoli, simpaticissimi e perfino carini. Eh si, perché questi mostri “in scatola” sono geniali nel design, delle perfette macchine da merchandising con un nome dato dal contenuto della scatola di cui sono abbigliati.
Poi non tutto in Boxtrolls funziona a dovere e ci si rende conto che forse i suoi 100 minuti di durata sono eccessivi, con una parte centrale troppo diluita per quel che ha da raccontare. Inoltre, il suo essere un cartoon outsider lo rende di difficile appetibilità per il pubblico perché la sua natura adulta lo fa risultare poco adatto ai bambini, ma trattandosi pur sempre di un film d’animazione – e sapendo la refrattarietà che questi prodotti hanno per certo pubblico – potrebbe non attirare il reale target di riferimento. Un’arma a doppio taglio, insomma.
3D funzionale soprattutto per la profondità di campo e cast di grandi nomi per il doppiaggio originale, che comprende Ben Kingsley, Jared Harris, Elle Fanning, Nick Frost e Simon Pegg.
Roberto Giacomelli
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